4 de junho de 2012

Dibattito on line verso il X Convegno SLP



 GUDIRE
Note sparse su lalingua

Fabio Galimberti

Lacan alla fine del suo insegnamento fa convergere l’unicità del godimento nel concetto di lalingua.
Nel Seminario XX afferma che l’Uno del godimento è “incarnato ne lalingua”. Ma che cosa è lalingua? “Qualcosa che resta indeciso tra il fonema, la parola, la frase”. Qualcosa dell’ordine del sonoro e del significante, del dire e dell’udire.
La parola “ordine” però non è adeguata. Riguarda il linguaggio, da cui si distingue. Lalingua è una congerie di elementi slegati, dispersi, disarticolati. È il disordine del reale. Un grande disordine nel reale, come suona il titolo del prossimo Congresso mondiale dell’AMP. Non è strutturata, non fa sistema come il linguaggio. Non è orchestrata in modo sintattico o semantico. Certo le sue unità possono essere significanti, ma significanti privi di significato.
Ciò che caratterizza gli elementi de lalingua è la dimensione acustica. Mirano ad essere ascoltati, vengono ascoltati, non intesi. Non mirano alla comunicazione, ma provocano godimento: gudire, appunto.
È l’inconscio che mira ad essere davvero inteso. Anzi frainteso, inteso tra le righe, ossia decifrato. È la sua naturatransferale. L’inconscio è in cerca di qualcuno che abbia orecchie per intendere, qualcuno che non si inganni come tutti, qualcuno che colga veramente ciò che si comunica in modo cifrato, attraverso i meandri del significante: un analista. E lo mette alla prova con tutti i trucchi, i trabocchetti e i tranelli possibili. Per sincerarsi che sia davvero non ingannabile. È isterico: cerca qualcuno che non si inganni, ma per ingannarlo più di tutti. Perché se l’analista si arresta al senso che l’inconscio secerne, non coglie che l’inconscio è qualcosa di secondario rispetto a lalingua. Non coglie che l’inconscio è “una difesa contro il reale”, come sostiene Miller. Un riparo dall’incontro traumatico con lalingua, un modo di cavarsela col reale.
L’incontro con lalingua viene prima dell’entrata nel campo dell’Altro, di quello che era stato sempre per Lacan il primo tempo del soggetto, quello dell’alienazione. Se c’è qualcosa che per il soggetto è originario è il trauma de lalingua. Lalingua originariamente affetta il corpo del soggetto. Il godimento unico è effetto dell’impatto de lalingua sul corpo.

Di questo godimento il soggetto è chiamato a rispondere. Si tratta di una diversa prospettiva etica, perché chiama ad una responsabilità che oltrepassa quella del desiderio. Non riguarda più la questione: “Hai agito in conformità al desiderio che ti abita?”. Ma la questione: “Ci sai fare col godimento al quale obbedisci?”.
“Obbedire”, sì, perché per gli elementi de lalingua, è vero, la parola “ordine” non è adeguata. Ma dipende dall’accezione. Non è adeguata se la si intende nel senso di “sistemazione”. È adeguata se la si intende in termini di “comando”, “imposizione”. Gli elementi de lalingua sono come le “parole imposte” dello schizofrenico, quelle che Lacan rileva nell’esperienza di James Joyce (e della figlia).
“Obbedire” viene da “ob” - “audire” e significa appunto “dare ascolto” (Più precisamente “ascoltare di fronte”). Sull’omofonia tra “Godo” e “Odo” Lacan ha scritto in Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio in riferimento proprio alla Legge che comanda. In quel momento c’era più probabilmente un riferimento ad un’esperienza della voce trasversale alle strutture cliniche, relativa al rapporto col Super-io, sotto forma di voce della coscienza, o alle allucinazioni auditive. C’è sicuramente qualcosa che partecipa di quell’esperienza, ma anche altro. Le parole de lalingua si impongono all’ascolto, non lo reclamano, obbligano all’ascolto. E vengono eseguite, come si esegue un pezzo.

Che cosa se ne può fare? L’ultimissimo insegnamento di Lacan è dedicato a questa questione. La premessa è che l’inconscio è un modo insufficiente per saperci fare. Che occorre passare dal sapere al saper-fare. È una soluzione pragmatica. Perché l’elaborazione inconscia lascia inalterati gli elementi de lalingua. Che continuano ad imporre il godimento al corpo.
Riprendo quanto detto: lalingua resta indecisa tra il dire e l’udire. Mi soffermo ancora un momento sul verbo “restare”. È lo stesso che Lacan usa all’inizio de Lo Stordito: “Che si dica resta dimenticato dietro ciò che si dice in ciò che si intende”. Lo statuto di resto connota gli elementi de lalingua. Sono appunto residui, depositi, avanzi. Sono le note stonate del concerto inconscio. Quelle che rendono suonato il soggetto. Suonato: potrebbe essere un altro modo di dire stordito.

Ma rispetto al concerto inconscio c’è una rimozione ancora precedente. Freud la direbbe originaria. Lacan vi allude scrivendo “resta dimenticato”. Che cosa resta dimenticato? Appunto “che si dica”. Lalingua è il dire che resta dimenticato dietro l’intendere il detto. Il gudire dietro la difesa dell’inconscio. Un godimento che sconcerta, che taglia fuori il sapere inconscio. Esclude il sapere nello stabilirne l’utilità, perché non ne ha. Il godimento non è utile a niente. È anzi qualcosa che usa il soggetto, usa il suo corpo. È un parassita, dice Lacan, “la forma di cancro che affligge l’essere umano”.

Questo reale è davvero qualcosa che ex-siste e che sta fuori dell’ordine simbolico contemporaneo. Nel quale la tecnica rende utilizzabile ogni cosa, ad ogni cosa assegna la sua “destinazione di uso”, come si dice degli immobili. Il sapere-fare è l’invenzione di una destinazione d’uso a qualcosa che non ne ha. In fondo è la massima espressione dell’inventiva umana. Trovare un uso a qualcosa che non ne ha. Anzi a qualcosa che usa, usura il soggetto. Il saper-fare, l’artificio, è parassitare il parassita: questo ha fatto Joyce con le parole che lo affliggevano. Ha introdotto il verme nel verme. Ha dissanguato la sanguisuga. Non è questo un modo dell’impossibile, del sinthomo come reale?

Se prima l’ingiunzione analitica poteva ritrovarsi nel motto che Kant metteva sulla bandiera dell’illuminismo, adesso non più, non solo. L’operazione di conoscenza dell’analisi lascia il posto ad altro, passa dal “sapere aude” al “sapere audire”. Sapere ascoltare, saperci fare con l’ascolto. Non dice questo saper-fare qualcosa dell’analista?
Spero si sia capita l’antifona. È stato un intervento un po’ disorganico, appunto alcune note sparse.

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