Potere
Il potere, se non viene inteso come pura azione di una forza tesa a superare le resistenze di un’opposizione, deve puntare ad ottenere un consenso. Per questo esso mette necessariamente in gioco il problema della legalità e del suo fondamento.
Su questa base Weber ne isola 3 tipi:
1. Tradizionale
2. Carismatico
3. Legale-razionale (costituzionale).
L’esperienza dell’analisi opera a livello del sistema simbolico che determina l’autorevolezza della legge per un soggetto. Di qui nasce uno dei contributi più innovativi dell’insegnamento di J. Lacan: l’etica della psicoanalisi. Di fronte alla crisi attuale del terzo tipo weberiano, che è quello della modernità, l’etica dello psicoanalista è una delle forze più potenti che si può opporre alle tentazioni del potere carismatico o all’illusione di un ritorno al passato.
Possiamo introdurre l’apporto della psicoanalisi riprendendo un’osservazione di Hobbes a proposito della via costituzionale: essa implica da parte di ciascuno una cessione di potere (allo stato). I sintomi contemporanei ci mostrano la necessità di pensare la meccanica di questa cessione al di là dell’Edipo. La relazione che Freud aveva riscontrata tra sintomo nevrotico e disagio nella civiltà, deve essere, di conseguenza, riconsiderata.
La soluzione singolare che il soggetto trova per far fronte al reale traumatico, all’indecidibile che lo sviluppo della scienza non fa che rendere sempre più evidente, trova oggi una via di elaborazione nel transfert analitico. E’ un’elaborazione che mostra un nuovo tipo di fondazione della legge, quella che utilizza la funzione paterna caso per caso. Nell’atto analitico l’impatto con la non esistenza dell’Altro, conduce ad utilizzarlo come puro sembiante e, quindi, a conferirgli un valore di fondamento secondo una nuova logica. Si passa dall’universale di cui ciascuno è un caso particolare ad un universale che si fonda sul caso unico.
L’analista e, più precisamente, il suo atto assumono il valore di paradigma nel dare autorevolezza alla legge in quanto essa può regolare il godimento soggettivo, cioè lo può sottrarre al potere della pulsione. In altri termini l’analista dimostra che il potere è l’altra faccia dell’impotenza di fronte ai compiti impossibili (governare, educare e curare). Invece che affrontarli con la misura della valutazione statistica, che apre ad ogni corruzione possibile, egli indica la via del calcolo al limite, al transfinito del distacco soggettivo dall’oggetto a.
La portata etica della psicoanalisi si oppone all’illusione di poter accedere alla cessione di potere tramite lo scambio con l’oggetto di consumo. La clinica dell’anoressia è una delle dimostrazioni più evidenti di come questo oggetto si dimostri essere niente, incapace di fondare uno scambio che muova il desiderio di vivere.
In sintesi possiamo affermare che oggi lo psicoanalista fornisce la prova, l’evidenza che solo per via dell’atto si può fondare una legalità del potere.
E’ una logica difficile da trasmettere: perché cominci a prendere valore estensionale, occorre che rinunciamo alla “religione” della scienza come causa efficiente, come utilità diretta, per ammettere che il caso unico si inserisce piuttosto nella via di una scienza meno ideologizzata e più consona con gli sviluppi attuali della matematica (intuizionismo) e di una fisica non più meccanicistica. Nella ricerca biologica è quella che F. Ansermet definisce il determinismo di un meccanismo imprevedibile (plasticità).
Se queste sono le nuove logiche, allora l’interrogativo deve vertere su quale politica possa avviare un processo che non sia più quello della cessione del potere, ma di cessione dell’oggetto-niente e quindi un’etica del “non cedere sul desiderio”: unica alternativa reale alla depressione ed alla corruzione. Esse sono infatti inevitabili, quando si cerca una supplenza alla perdita di legalità puntando sul potere finanziario e su quello ideologico.
Carlo Viganò
L’incontro con la psicoanalisi avvenne in adolescenza, attirato da un breve saggio di Freud sul sogno e la sua interpretazione. Ragazzino docile agli occhi dell’Altro - professore, familiare, amico o vicino di casa che fosse - era intento a ricercare e ad applicare con rigore le “buone maniere” del vivere sociale. Assai critico, si allontanava più o meno consapevolmente da coloro i quali azzardassero una parola o un comportamento che si discostasse da quell’immagine di ragazzo educato. L’inibizione sociale era dietro l’angolo. Sua madre spesso si raccomandava con lui di salutare le persone, qualunque persona fosse ed in qualunque contesto si trovasse, sempre accompagnando la parola “buongiorno” con un ampio sorriso. Si affidava alla domanda materna, seppure con qualche riserva, e ricorda che un giorno, passeggiando accanto a sua madre, salutò una signora con un grande sorriso stampato sul volto. La persona ricambiò il saluto e disse a sua madre quanto fosse fortunata (!) ad avere un figlio così a modo e così educato. Fortuna per la madre forse, un po’ meno fortunato il soggetto. In mezzo alle preoccupazioni sui buoni costumi da adottare, incontra nelle sue letture il complesso di Edipo che recita: “ogni bambino (più o meno educato che sia) vuole uccidere il padre per potersi scopare la madre”. Tale fu l’orrore - che condusse Edipo ad accecarsi - ed allo stesso tempo la curiosità per ciò che aveva avuto l’effetto di un’interpretazione, che non risparmiava nessuno dei suoi compagni di scuola da questa verità, interrogandoli su cosa loro avessero da dire in merito a questa “teoria psicologica”. Il suo incontro con la psicoanalisi aveva già messo in campo l’Altro, talora indifferente, talora affascinato dal contenuto latente delle formazioni dell’inconscio, talora preso in un transfert negativo verso la psicoanalisi. “Un lapsus è solo un lapsus, eventualmente crea ilarità (!), ma non vuol dire proprio niente” – diceva con fastidio crescente un giovane amico in risposta alle sue interpretazioni selvagge, anch’egli occupato, attraverso la letteratura e la filosofia, nella sua ricerca della verità.
Al termine di una delle sue prime sedute di analisi domandò all’analista come fare per diventare a sua volta psicoanalista. L’interpretazione, riportandolo al lavoro dell’analisi personale, interrogava un desiderio cifrato nel sintomo, che solo a fine trattamento avrebbe prodotto, oppure no, dell’analista. Confrontarsi al baratro di una “insondabile decisione dell’essere” nulla aveva a che fare con la cattura dell’io e delle sue identificazioni. Attraverso un sogno passò al lettino: posizione che sì gli concedeva di non dover guardare in faccia l’analista, ma lo costringeva a strappare quelle parole dal circuito sintomatico del pensiero. Sdraiato, guardava con la coda dell’occhio l’analista che, come sembiante d’oggetto, passeggiava su e giù per lo studio, gettandolo tra l’angoscia e l’esasperazione. Non aveva altra scelta se non quella di prendere la strada del significante, cioè al di là di ciò che si vuole o non si vuole dire. Un professore del liceo, al momento dell’interrogazione (!), gli diceva: “mi sembra di doverti tirare fuori le parole con le pinze”. Scrive Freud: “Ho spesso paragonato tra me la psicoterapia catartica a interventi chirurgici, chiamando le mie cure “operazioni psicoterapeutiche”, rilevando analogie con l’apertura di una cavità purulenta, col raschiamento di una zona affetta da carie”.[1] Non si tratta semplicemente di un tòpos letterario, bensì della presa della parola sul reale del corpo, e dell’effetto di estrazione che essa produce.
La causa analitica ci chiama a Torino per partecipare a due importanti eventi organizzati dalla Scuola Lacaniana di Psicoanalisi: il Forum, a far sentire che la psicoanalisi può tutt’ora essere un momento importante per cogliere ciò che accade nel sociale odierno; il Convegno, a dire cos’è il rapporto che il soggetto intrattiene con il proprio inconscio, come i significanti dell’Altro abbiano lasciato dei segni sul soggetto e sulla sua economia di godimento, e come l’operazione analitica possa progressivamente portare al confronto con l’orrore di quel punto vuoto intorno al quale si è costituita una vita.
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