el periódico
del VI congreso de la AMP
los objetos a en la experiencia analítica
21 a 25 de abril de 2008 • Marriott Plaza Hotel, Buenos Aires • www.amp2008.com Nº 5
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Conversan: Marco Focchi y Samuel Basz.
Nel Seminario "L´etourdit"Lacan dira:"L´interpretazione, come l´ho formulata nel suo momento, interessa alla causa del desiderio, causa che lei stessa rivela, e della domanda che con la sua modale reunisce il congiunto dell´espressioni". "El Atolondradicho", p.45.Che cosa interpreta l ´ analista, dell´oggetto a?
Marco Focchi
La ringrazio dell’invito che mi rivolge a partecipare alla conversazione virtuale da voi avviata, e volentieri entro nel gioco del commento a partire dal punto da voi proposto. Si tratta dello scritto Lo stordito, dove Lacan sostiene che l’interpretazione debba puntare alla causa del desiderio rivelandola, e che questo avviene liberando i detti che sono avvolti nella domanda.
Lacan distingue qui il carattere apofantico dell’interpretazione (ovvero il fatto che essa è in rapporto con la coppia vero/falso), da quello modale della domanda, (che vuol dire che la domanda non esprime solo la logica vero/falso ma la modalizza secondo il possibile e il necessario). La logica modale infatti riguarda i mondi possibili collegati da una relazione di accessibilità: x è necessario quando è vero in tutti i mondi accessibili, mentre x è possibile quando è vero in almeno un mondo accessibile.
Credo però che il punto determinante qui sia quel che nella logica modale appare sotto il segno negativo, cioè l’impossibile. Infatti poche righe sotto quelle da voi indicate, Lacan riferendosi alla topologia che praticava in quegli anni, valorizza il qualcosa che sostiene l’impossibile dell’universo, il pastout, l’eccezione alla sfericità, il fattore eterogeneo che differenzia la sfera dal cross-cap, la rondella supplementare in cui identifica l’oggetto (a).
Il pastout, dice Lacan, è ciò che sostiene l’impossibile dell’universo, e anche dell’universale, e da qui procede l’esclusione del reale.
Credo allora che dobbiamo intendere il carattere modale della domanda come la sua necessità, quel che la sostiene nella ripetizione, la stessa che perpetua il sintomo. La ripetizione, presa in questo senso, è congruente con l’universale, perché afferma l’ineludibile verità dell’insoddisfazione del desiderio: in tutti i mondi possibili il desiderio resterà insoddisfatto, e per l’eternità la domanda ripeterà la sua richiesta impossibile.
Ma appunto qui entra in gioco la causa di desiderio, che l’interpretazione rivela mettendo in luce i detti che la domanda avvolge nell’opacità della sua reiterazione. La causa di desiderio è reale, quel reale che deve essere escluso perché l’universale continui a restare in vigore, quel reale che, proprio perché escluso, è impossibile.
Se l’interpretazione lo mette in gioco, chiaramente fa vacillare la necessità ripetitiva della domanda, che afferma l’ineludibile insoddisfazione, e ne destabilizza l’universale.
Puntando in modo apofantico, cioè affermativo, alla causa di desiderio, l’interpretazione dice: “È vero che c’è un punto di godimento sottratto all’universale insoddisfazione del desiderio: ne puoi sopportare le conseguenze?”. È qui che il soggetto si trova nella posizione in cui può “volere quel che desidera”, con il rischio dell’angoscia dovuto al fatto che il godimento appare nella casella vuota del desiderio.
Credo sia interessante anche confrontare la frase da voi proposta con quanto afferma Lacan più avanti nel testo quando dice che alla psicoanalisi si accede facendo entrare in gioco un’Altra dit-mension, un altro piano del linguaggio che si apre quando lo psicoanalista “fait semblant” (ovvero s’investe della parvenza) dell’oggetto (a), qui definito come effetto maggiore del linguaggio. Vediamo allora che l’oggetto causa del desiderio è un oggetto effetto del linguaggio. Quindi: in primis c’è il linguaggio, suo effetto è l’oggetto (a), e da qui questo effetto si fa causa del desiderio. Dobbiamo allora pensare che il reale è un effetto del linguaggio? Non credo. Il reale può essere detto effetto del linguaggio solo nel senso in cui è ciò che il linguaggio non riesce a prendere, non riesce a fissare. Per questo, come dice Miller, si può toccare il reale solo attraverso la parvenza (semblant). Come viene a trovarsi in posizione di parvenza d’oggetto lo psicoanalista? Credo sia una sorta di operazione alla Duchamp: si fa un gesto intorno a qualcosa, e questo cambia statuto. Come la ruota di bicicletta cambia dit-mension grazie al gesto di Duchamp (non è più oggetto d’uso ma oggetto d’arte), così, nella nostra esperienza, un suono, un’occhiata in tralice, un accenno sospeso, si isolano dal flusso del discorso corrente per indicare un’altro orizzonte, dove le cose sono le stesse ma sono diverse, dove le parole cambiano senso, dove il discorso che sembrava parlare della realtà mostra la propria aderenza alla pulsione e la propria implicazione di godimento.
Mi scuso della concisione, ma spero di aver risposto almeno in primo abbozzo alla vostra richiesta, e conto di poter conoscere i vostri contributi a questo dibattito a cui mi avete onorato di partecipare.
En "La Tercera" encontramos a Lacan diciendo:
“[…] Pues en el mundo no hay nada fuera de un objeto a, cagada o mirada, voz o pezón, que hiende al sujeto y lo disfraza de desecho, desecho éste que le ex-siste al cuerpo. Para hacer sus veces, para ser su semblante, hay que tener condiciones". Luego continúa… Es especialmente difícil, más difícil para una mujer que para un hombre, contrariamente a lo que suele decirse. Que en ocasiones la mujer sea el objeto a del hombre no significa para nada que sea de su gusto serlo.” Esta cita nos conduce a pensar en dos articulaciones, la primera alrededor de la relación del objeto a y el semblante; y la segunda la mujer como objeto a.
Nos gustaría saber su opinión respecto de esta cita "[…] para ser su semblante, hay que tener condiciones […]."
Samuel Basz
Es interesante captar el alcance de cada una de estas formulaciones sobre el fondo de la otra.
Para hacer las veces de objeto, para ser semblante de objeto, hay que tener condiciones; condiciones cuyos bordes, si se practican en un análisis, pueden hacer funcionar ese semblante de objeto como agente de un lazo social estructurado como discurso.
Hay que señalar, por otra parte, que la modalidad lógica que determina toda posible realización de esas condiciones es la de la contingencia.
Para ser semblante de objeto hace falta hacer semblante del objeto, ya que el objeto no es en esta dimensión sino un semblante. Esto exige una condición de estructura y esa condición es la creencia como posición subjetiva. Esto aplica especialmente a todo desarrollo posible de un análisis del que resulte un analista.
Así planteadas las coordenadas -tanto por el carácter de semblante del objeto como por la modalidad de la contingencia- se entiende la segunda cita, porque en ella el lugar de la mujer se realiza en ser el objeto (a) del hombre, objeto en que consiste su cuerpo (no que le ex-siste a él) y que la ubica, si se mantiene la referencia hombre-mujer, en la dimensión de la necesidad más allá de lo ocasional del encuentro.
Si nos atenemos a esta articulación, solamente aquella mujer instalada primariamente en la posición de certeza -a diferencia de la creencia- puede experimentar, respecto del objeto, “que sea de su gusto serlo”.
“Hay que tener condiciones”, se puede traducir como lo que es necesario para poder provocar lo contingente del acto. Entendida la articulación de este modo se puede decir que la certeza que conviene al discurso analítico es subsidiara de la creencia como condición subjetiva.
STAFF: Responsable Débora Nitzcaner y Luis Tudanca • Colaboradoras Viviana Mozzi,
Alejandra Breglia • Traducciones Maria Cristina Maia Fernández, Carolina Freda,
Graciela Lucci, Susana Tillet
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