7 de março de 2011

Verso il Convegno di Catania


Scuola Lacaniana di Psicoanalisi

Emilia Cece

Verso il Convegno di Catania

Un sapere che non dipende dalla modernità

Modernità è un termine criticato: indica prevalentemente lo sviluppo tecnologico e scientifico, l’affermarsi del razionalismo nella cultura, l’avanzare dei sistemi organizzativi, la burocratizzazione ma anche l’utopia del benessere, della salute, della nuova ricchezza.

Interessante rivedere oggi il Concilio Vaticano II° sulla modernità, l’ultimo concilio Vaticano svoltosi tra il 1962 ed il 1965 sui temi di : pace, giustizia e scienza.

Le alte aspettative da parte del clero ma anche di cattolici laici aperte dai temi fondamentali del Concilio, si chiusero progressivamente con amarezza e pessimismo, mentre i movimenti giovanili del 1968 tentarono di riprenderne il filo a modo loro sperando in un mondo nuovo, Paolo VI affermava in un’enciclica : <<>>

Né il Papa, né il movimento del ’68 , né la scienza, aprirono mai le porte del Nuovo Mondo.

Noi, che nella modernità siamo nati, che ci siamo cibati di questo pane, pensiamo subito ai bulloni svitati e riavvitati in "Tempi Moderni", o la frase storica di Woody :<<>>

Gli amici sono dispersi e la modernità ha lasciato spazio al post moderno, epoca di generalizzazioni, nichilismo, globalizzazioni.

Culture che cambiano, paesi diversi, ovunque si trova il segno di ciò che nel tempo si deteriora, insiste, non cambia ma ci costringe a cambiare:<<>>.

Freud fu un uomo moderno della sua epoca, ma insinuò che nella ripetizione, qualcosa di antico ritorna ed insiste, facendo della psicoanalisi l’obiezione vivente all’idea di progresso.

Allo stesso modo, Lacan, vi oppose il Reale.

Il tempo della psicoanalisi è scisso dal tempo comune, il soggetto aspetta l’ attimo, ciò che era non è più, la storia è pronta per l’oblio e la menzogna: <<…. Una volta in un prato una rana vide un bue che le stava accanto, fu tanto colpita dalla sua grandezza che, cominciò a gonfiarsi per estendere al massimo la sua pelle… e poi… c’era una volta… e nemmeno solo una, molti anni fa, così tanti che il passaggio del tempo non era neppure iniziato, in cui un Re che amava così tanto i suoi vestiti nuovi che… e poi, e poi …>>

La questione dialettica del desiderio, si estrapola da ogni tempo e la storia è la stessa, ciò che si sperimenta nella pratica psicoanalitica, fa della clinica una scansione temporale irripetibile, di ogni esperienza un testo speciale.

In Scienza e Verità, Lacan affronta la questione di cosa si intende per soggetto nella prassi psicoanalitica. Il concetto di scissione riconduce a quello di inconscio, del quale la scissione è manifestazione diretta.

Tale divisione, affinché possa essere un concetto utile ed accessibile ai fini della pratica clinica, non può essere solo preso come fatto empirico, ma deve essere colto nella sua forma di paradosso: deve essere ridotta ed affiancata al concetto di oggetto che le si accompagna, affinché la psicoanalisi possa effettivamente avere un suo fondamento di scienza.

Non risulta che l’epistemologia moderna, abbia reso pienamente conto di quella mutazione decisiva che è seguita nel tempo con il progresso, attraverso la fisica delle reazioni a catena dell’energetica, ad esempio.

Lacan afferma che per comprenderne fino in fondo il cambiamento, bisogna rifarsi a Koyré ed al cogito di Descartes.

La psicoanalisi, nel suo percorso, deve essere riconosciuta come scienza, ma fonda il rigetto di ogni sapere proprio a partire dal concetto di soggetto che in psicoanalisi è considerato come un ammaraggio dell’essere.

Il concetto di scienza, per Lacan, deve essere preso come “porta stretta”, la porta attraverso cui si deve passare per articolare la relazione tra sapere e verità sul doppio bordo del nastro di Moebius.

Tra i due bordi infatti, vi è distinzione solo all’origine perchè tendono, come prospettiva, ad una congiunzione. Si deve ritornare a Freud, agli scritti sulla Ich-Spaltung, sul feticismo e sulla perdita di realtà (1924-27) all’esordio della costruzione della seconda topica, per poter ricostruire ciò che con lo strutturalismo assume una elaborazione logica che potremmo sintetizzare come “il soggetto preso nella sua divisione costituente”.

Tutta l’elaborazione freudiana, altro non è che il percorso del soggetto nella propria esperienza “scientifica”, nella propria esperienza di sapere. Essa taglia corto con tutto il precedente come con l’umanesimo, poiché l’inconscio è scoperto dall’origine in nome della scienza.

Speriamo però sempre che la psicoanalisi, per ognuno, possa non essere moderna, portare in ogni fessura quel fumo demoniaco che oscura ogni assolutismo: nella scienza, nelle democrazie, nella legge.

Molti di noi ricordano la differenza che abbiamo tracciato a Torino, nel congresso SLP del 2005, tra scientismo contemporaneo e scienza, tra queste due forme del sapere post moderno che puntano all’efficacia come ad un sapere assoluto che parte dall’unicità e si sostiene del sembiante universale della tecnica. Lacan non era contro la scienza, anzi, ma noi lacaniani dobbiamo avanzare le nostre obiezioni allo scientismo moderno e post moderno.

In Nota agli italiani, un altro scritto del 1975, Lacan afferma che c’è del sapere nel reale e che il sapere fa orrore all’umanità. L’uomo avrebbe voluto continuare a trattare il reale attraverso i miti se lo scienziato (che produce appunto sapere facendo sembiante di esserne il soggetto), non avesse sedotto il padrone tenendogli nascosto che questo sapere lo porterà prima o poi alla rovina.
L’analista, a differenza dello scienziato è chiamato ad ospitare un altro sapere che deve tener conto del sapere nel reale, ed è da questo sapere che egli dipende.



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