Identificazione e salute mentale
Carlo De Panfilis
Vorrei porre l’attenzione su una possibile declinazione degli effetti che le multiple e fragili spinte identificatorie presenti nella società odierna comportano.
Ci troviamo di fronte ad un’epoca dove forme identificatorie sono sostenute e prescritte come cura, come un obbiettivo per raggiungere la salute del mentale.
Un esempio: un ragazzo si presenta nel mio studio affermando di essere dislessico. Una diagnosi prodotta per lui nei primi anni di scolarizzazione. Dopo alcune sedute, mi racconta con un certo imbarazzo che a un suo compagno di studi, che lo interrogava sul suo “disturbo”, rispondeva: “Non è colpa mia se ho questa bazza.” Un genitore rifiuta sia il Parent Trainig che le metodiche comportamentiste per il figlio al quale è stato diagnosticato un’ ADHD. Lui vuole piuttosto sapere cosa fa “muovere” così tanto suo figlio.
Ad entrambi i soggetti, al ragazzo e al bambino, la nosografia attuale ha offerto la stessa soluzione di fronte agli ostacoli che possono incontrare nel movimento verso la propria soggettività. Ostacoli che possono presentarsi nelle varie forme del sintomo. Nel bambino scolarizzato in un’epoca precedente all’attuale, quando la difficoltà ad apprendere si chiamava insuccesso scolastico, si indicava una operazione che segnalava la distanza tra l’ideale della prestazione e quello che non si riusciva a realizzare di esso: attraverso la segnalazione di un insuccesso scolastico in un bambino, vi era l’intento di denunciare che qualcosa per lui non funzionava. Oggi tali difficoltà sono definite disturbo. Il “disturbo “ situa una deviazione dalle attese senza però interrogare quello che anima tale deviazione perché il disturbo risponde ad un certo disordine del funzionamento cerebrale. Associazioni di familiari sostengono con veemente forza il loro diritto a tale diagnosi. Diritto che esercitano, e i cui effetti si vedono nella politica sanitaria, scolastica, culturale. Mossi “dall’orgoglio” e con lo scopo della prevenzione” producono un fiorente mercato di test per la diagnosi e di tecniche riabilitative.
“Non è colpa mia se ho questa bazza”. Dice il ragazzo. Un genitore vuole sapere di più dell’insuccesso scolastico di suo figlio.
E’ questo voler sapere del genitore e l’affiorare dell’imbarazzo del ragazzo, che fanno breccia a proposte classificatorie-identificatorie basate sulla presunta “evidenza scientifica”. La clinica psicoanalitica è sempre più necessaria per far argine a tale deriva e per sostenere chi, di fronte al suo sintomo, non vuole retrocedere come soggetto.
Abbiamo il compito etico, che ci permette la psicoanalisi secondo Lacan, di far vedere, di far emergere, questi nuclei di resistenza nei luoghi istituzionali dove il tema della sofferenza psicologica è politicamente affrontato e questa è programmaticamente riabilitata.
Si tratta di far avanzare la clinica psicoanalitica in un dibattito per tutti quelli che vogliono intendere.
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