Una condizione di struttura
Ciò che Freud chiamava autoerotismo, riferendosi all'incidenza della soddisfazione pulsionale, con Lacan si è ancora più radicalizzato. Non solo è "godimento dell'idiota" ma dimensione "non umanistica", per riprendere le parole di J.-A.Miller (Vita di Lacan), del nostro nucleo oscuro, maligno, non condivisibile, del legame di godimento tra la lingua e il corpo. La solitudine del soggetto, è dunque correlativa alla sua malvagità in relazione al godimento.
Guardando
da questa precisa angolatura si coglie una condizione di struttura di un
segregazionismo pulsionale. Questo fattore reale, introdotto dal discorso
analitico, è ciò che resta estraneo alle riflessioni antropologiche e
sociologiche, anche le più avvertite, sull'espansione di fenomeni segregativi
nell'attuale stato della civiltà contemporanea.
Il tratto saliente di un paradosso e la convergenza con la psicoanalisi
L'ascesa
allo zenith dell'oggetto a in seno alla struttura agente
dell'ipercapitalismo contemporaneo ha, paradossalmente, globalizzato il segregazionismo
del godimento. La soggettività che attualmente trova la sua bussola
nell'oggetto del prodotto tecno industriale contemporaneo, fu definita da
Lacan, in Televisione, una soggettività in disorientamento quanto al
godimento, definizione che già allora metteva ben in evidenza che tale
disorientamento è ciò che resta, quanto del declino e/o evaporazione del padre
(concetto che, detto per inciso, oggi ha il suo momento di gloria cultural
mediatica).
Prendere
l'oggetto a come bussola, (J.-A.Miller - Una fantasia), non è
senza conseguenze sul soggetto, nella misura in cui l'oggetto a per
struttura non ha misura, è in eccesso, non è regolato, nè contabilizzabile.
Prenderlo come bussola quindi non significa affatto regolarsi, equilibrarsi,
pacificarsi ma, paradossalmente, proprio scombussolarsi.
Il
soggetto ne risulta quindi scombussolato, e questo è esattamente l'effetto di
fondo dell'elevazione universalistica o globalizzante del segregazionismo del
godimento messo in atto dalla spinta inarrestabile del combinato disposto di
capitalismo e tecnica.
Rispetto
a questo paradosso al cui centro troviamo il disorientamento e la solitudine
della soggettività universalizzata della civiltà contemporanea, la psicoanalisi
ha la possibilità di posizionarsi in modo speciale in virtù del fatto che
questa civiltà, che eleva l'oggetto allo zenith e lo pone in posizione di
agente, non è più il rovescio della psicoanalisi. Oggi tra la psicoanalisi e
gli elementi di fondo che compongono quel che potrebbe essere il "discorso"
capitalistico, c'è " convergenza" (J.-A.Miller – Una fantasia)
il che apre l'interrogativo di come la psicoanalisi, dal momento che essa non è
più il rovescio della civiltà contemporanea, possa reggere il colpo e prendere
posizione in relazione a questo mutamento radicale.
Questa
convergenza, infatti, potrebbe togliere valore 'sovversivo' al discorso
analitico, riassorbendone il vomere tagliente della sua verità, ma al contempo,
questa stessa convergenza, può dar più peso al discorso analitico, non solo
perchè la psicoanalisi isola al suo interno, nella pratica al singolare, il
reale del godimento non umanista di ciascuno, ma anche perchè, nel legame
associativo, essa non è orientata dal segregazionismo dell'identificazione
(vedi dopo). Ed è questo il nostro punto di forza qualificante.
La differenziazione segregativa in atto nel sociale
La
risorgenza del 'razzismo' che oggi si accompagna sempre di più alla spinta
universalistica di capitalismo e scienza è stata portata alla nostra attenzione
da Lacan già alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, non senza che
questo apparisse sorprendente. Ora non lo è più.
L'avvenire
dei mercati comuni si è realizzato nel campo concentrazionario del mercato e
della soggettività universalizzata dalla scienza, e il razzismo ha ripreso
vigore segnalandosi come il sintomo maggiore di un segregazionismo reattivo ma
radicale, rispetto al quale gli appelli all'umanità e alla fratellanza generale
non hanno prodotto alcun effetto. E' una constatazione, che poteva essere
prevedibile.
Un
conto infatti, come notava J.-A.Miller ( corso 1985-86 - Extimitè ), è
riconoscersi fratelli nella scienza, negli apporti spirituali che le diverse
culture danno ad una civiltà che possa raccoglierle, un conto è riconoscersi
fratelli nel godimento, che nel suo fondo non è condivisibile, è segregativo,
poco umanista.
Se
il razzismo rappresenta il segnale più forte di un segregazionismo sintomatico
di disagio sociale, che ci porta ben oltre il narcisismo delle piccole
differenze, cioè direttamente all'odio verso l'arrangiarsi dell' altro con il
proprio godimento ( A. Leserre –Segregazione- in Scilicet VIII), molti
altri fenomeni oggi si presentano sulla scena sociale, ugualmente espressione
di processi segregativi. Si tratta a volte di fenomeni non di grande entità,
piuttosto minimi ma significativi nella loro composizione. Essi sembrano
rivelare quella "differenziazione", di cui parlava Levi-Strauss (Razza
e cultura), che si produce in seno ad una cultura come conseguenza
dell'ampliamento comunitario della stessa.
Ma, mentre nella riflessione
levistraussiana, questa differenziazione appariva come la risposta difensiva
rispetto alla indistinzione cui possono andare incontro tratti altrimenti
indispensabili per il mantenimento di una carattere 'originale' della cultura
stessa, oggi la differenziazione verte attorno a fenomeni segregativi, anche
piccoli, ma molteplici e producentesi in differenti registri della vita
sociale. Per esempio voglio ricordare che Sorrentino, il regista italiano che
ha vinto l' Oscar per il film "La grande bellezza", ha dichiarato in
un'intervista ad un noto quotidiano italiano di essere stato oggetto di una
esclusione per l'acquisto di un appartamento a NewYork da parte di
un'associazione di condomini, che ha esercitato in negativo la clausola di
gradimento con cui si pone veto o non a chi acquista un appartamento nel
condominio medesimo. Oppure, come ricordava Nathalie Jaudel (Esclusione
–Scilicet IX), assistiamo alla creazione di istituzioni educative o di insegnamento
che prevedono solo corpo insegnate gay, personale amministrativo gay, studenti
gay. O ancora vediamo l'isolamento inaggirabile dei diversi gruppi culturali e
linguistici nella grande aere metropolitane, ora oggetto di studi sociali nella
misura in cui questo segregazionismo mette in scacco anni di politiche, che
conseguenti costi rivelanti per lo stato, rivolte a favorire l'integrazione e
risultate fallimentari de facto.
Nell’espansione
del segregazionismo contemporaneo prendono dunque posto sia i più noti modi di
difesa di uno stile di legame culturale che fa ‘razza’ di godimento a sé, sia
le nuove differenziazioni segregative in atto nel sociale in forme più minute e
localizzate. Alla radice di entrambi questi aspetti troviamo
quell’identificazione segregativa di cui Eric Laurent (Racisme 2.0) ha
molto precisamente indicato la struttura: un’identificazione al rifiuto del non
sapere, dell’ignoranza sul come e il cosa del nostro rapporto al godimento.
Un’identificazione a ciò che non si è, un’identificazione al non come
l’altro del cui godimento si ha orrore. Un’identificazione segregativa nella
misura in cui rigetta il non sapere radicale sul godimento, che esprime la
faglia di una designazione del reale del godimento ad opera del linguaggio.
Questa
definizione di Laurent marca altresì uno sviluppo ed una differenza ad un tempo
rispetto alla definizione che già C.Levi-Strauss aveva dato (Razza e storia)
dell’identificazione segregativa, come identificazione che in fondo,
paradossalmente, annulla le differenze proprio perché è identificazione
all’altro che si rifiuta.
Il rilievo clinico del tratto segregazionista del godimento
Il
segregazionismo del godimento nella forma paradossale datagli dall’ascesa allo
zenith dell’oggetto a è già da tempo un fenomeno rilevante socialmente
attraverso quelli che sono stati chiamati ‘nuovi sintomi’, specialmente
definiti dalla dipendenza e dal cortocircuitare l’inconscio. Dunque ostici in
prima istanza a quel ‘voler sapere’ che interroga ciò che fa enigma con cui una
domanda, classicamente, diventa ‘analitica’.
Nella
clinica di questi nuovi sintomi ritroviamo sia gli oggetti pulsionali
freudiani, l’orale delle dipendenze alimentari e da sostanze, l’anale delle
posizioni di scarto, che fissano isolamenti radicali autoescludentesi dal
circuito degli scambi (vedi gli Hikikomori ora non più solo giapponesi
ma anche presenti negli USA), sia gli oggetti pulsionali lacaniani, lo sguardo
e la voce del segregazionismo sviluppato attorno ai gadget tecnologici.
Dimensioni
cliniche che hanno la caratteristica di assurgere a problema generale, ad
‘allarmare’ sul piano sociale. Infatti intrecciano la spinta di fondo data
dall’ascesi irresistibile dell’oggetto con l’identificazione segregativa
rifiutante. E, non a caso, questi fenomeni trovano un’ eco proprio nel
moltiplicarsi delle etichette psicopatologiche sul piano diagnostico, dove la
disgregazione segregativa sociale si riflette in un segregazionismo diagnostico
(V. Palomera – Razzismo dei discorsi- VIII Congresso AMP ).
L’apporto del discorso psicoanalitico
Il
ventaglio e la diffusione di fenomeni segregativi interroga la psicoanalisi
nella misura in cui in essa si delinea invece un discorso non
segregativo.
La
psicoanalisi da un lato isola e riconosce ciò sfugge agli altri discorsi, cioè
l’incidenza del godimento e la pulsionalità non umanistica dell’essere
parlante, ma da un altro lato non produce un’identificazione segregativa,
generatrice di una ‘razza’ di godimento in lotta con le altre ‘razze’ di
godimento.
La
psicoanalisi disattiva il segregazionismo del godimento, perché non ne
ontologizza un essere, condizione quest’ultima del suo collettivizzarsi, al
contrario, attraverso la sua pratica al singolare, la psicoanalisi decompleta
per ciascuno il rapporto tra godimento ed essere, nel rilievo dato alla
inesistenza dell’Altro che se ne possa fare garante.
Sulla
base di questa esperienza radicale ed unica il discorso analitico, sia
attraverso la sua riflessione teorica sia attraverso i risultati della sua
pratica clinica, può contrastare le incidenze di disagio sempre maggiori di
quel segregazionismo che attraversa la civiltà attuale, quasi ne fosse un nome
del suo destino.
Nenhum comentário:
Postar um comentário