Giovanna Di Giovanni
Psicoanalisi e questione sociale
Con queste osservazioni faccio in particolare riferimento allo scritto di R. Calabria del 28 marzo, perché mi pare che apra verso un discorso valido anche in altre situazioni gravi di psicosi e non solo infantile, in cui la frattura del
legame simbolico di discorso scorre sottostante alle idee e ai rischi di morte , sempre presenti.
Come pure ho in mente la solitudine e disperazione dei familiari, presi spesso tra sterili processi al passato (ancora oggi presenti negli operatori e nemmeno tanto velati) e spinte a comportamenti “socializzanti e normalizzanti “ i
n cui “collocare” il paziente.
La psicoanalisi del XXI secolo è diventata un problema sociale, scrive J.A.Miller, e si può dire anzitutto per il terapeuta, perché il posto dell’analista - se lo vuole occupare- lo pone costantemente nella scelta etica e sociale tr
a seguire il suo desiderio ,mai comunque senza rischi, o cedere alla “tentazione di scontate risposte”, come dice R.Calabria.
Qui appare anche l’importanza dei Servizi di Neuropsichiatria per l’Infanzia e l’Adolescenza.
Non è infatti la stessa cosa per il paziente e i familiari se il terapeuta si pone a favorire una supplenza in età evolutiva e per questo più plastica o invece vuole tappare l’angoscia e la disperazione con ostentata saccenza e ingann
evole ottimismo, per giungere poi dopo anni a dire che il paziente e il sistema familiare sono troppo gravi per rispondere positivamente alle cure elargite.
Questo avviene anche in certi ambiti psicoanalitici del dopo Freud, dove si promette al paziente e ai familiari la “ricostruzione di un io frammentato” , per arrivare dopo molto tempo a comunicare che il soggetto non collabora a ques
ta ri-edificazione e quindi è da considerarsi un “cronico”, che incide inutilmente nella spesa sanitaria sociale, possiamo aggiungere.
Dove cronica è l’incapacità anche di una certa psicoanalisi di porsi all’ascolto del soggetto, del suo dire per quanto in frammenti che comunque lo rappresenta, dovunque il terapeuta si trovi a operare.
Con Freud e con Lacan sappiamo bene che è l’esistere umano ad essere troppo grave in sé e che la scoperta ultima di ciascuno è la derelitta solitudine.
La questione sociale della nostra psicoanalisi lacaniana mi pare allora anche nel raccogliere la sfida, sempre da rinnovare, che di quella derelizione umana si possa fare un legame vivibile di discorso e non uno strumento di segregazion
e e di morte, dovunque l’analista si trovi a praticare con il suo desiderio.
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