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DA UNA POSIZIONE FEMMINILE
Amelia Barbui
Crisi economica, politica, spirituale, dunque, se così è, non c’è niente da perdere, direbbe qualcuno,
da una posizione femminile, avvezzo ad avere rapporto con la castrazione attraverso il reale, qualcuno che subito aggiungerebbe: ciò mi riguarda.
E Lacan dirà che tutte le donne sono folli perché hanno come partner A/, ma non lo sono del tutto: “pas-tout”.
Una donna ha sempre un punto di devastazione e non c’è legge che glielo possa risparmiare.
Una donna associa ordine e disordine e si mantiene in uno stato di stabilità lontano dall’equilibrio dove non vigono più leggi universali ma solo quelle particolari, singolari, dell’una per una.
Per una donna cambiamento e stabilità coesistono, potremmo dire che la stabilità è “garantita” dal cambiamento, dal mantenersi lontani dall’equilibrio dove si trovano, come dalla parte maschile, leggi universali, fenomeni ripetitivi e calcolabili.
E nel Seminario XVIII, parlando dell’uomo e della donna Lacan dirà che per avere la verità di un uomo è opportuno sapere qual è la sua donna che per lui rappresenta l’ora della verità.
Un’eco nelle parole di Nelson Mandela.
“Dalla notte che mi avvolge... nera come la fossa dell'Inferno... rendo grazie a qualunque Dio ci sia... per la mia anima invincibile... la morsa feroce degli eventi... non m'ha tratto smorfia o grido... sferzata a sangue dalla sorte.. non s'è piegata la mia testa... di là da questo luogo d'ira e di lacrime... si staglia solo l'orrore della fine... ma in faccia agli anni che minacciano... sono e sarò sempre... imperturbato... non importa quanto angusta sia la porta... quanto impetuosa la sentenza... sono il padrone del mio destino... il capitano della mia anima.”
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decomposizione, disfacimento, putrefazione
Loretta Biondi
Corruzione, corruzioni: risonanze.
A ciascuno la propria commedia nel talk-show della conversazione che non tiene più il suo registro disteso.
La parola, le parole, ormai corrose o troppo pesanti, rotolano come macigni.
Crisi: si addensa nell’immaginario di una connotazione deprimente, dove alberga, solitario, il godimento.
Oramai pare un’operazione d’élite anche il significato, l’etimologia dei lemmi e del loro uso: faccette, uso dei segni, al posto delle lettere dell’alfabeto sono sempre più in voga. Il codice, la lingua è sempre maggiormente decomposta, scarnificata dal sapere, dalla storia, dall’etica. I bambini, oggetti assorbenti il loro compagno/computer, ce lo insegnano. Noi, di un’altra generazione, così lontana, così vicina…
Sì, anche a me come già è stato fatto negli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto in questo dibattito, risuonano le parole che Jacques Lacan pronunciò a Milano il 12 maggio 1972 nella conferenza “Del discorso psicoanalitico”.
«…la crise, non pas du discours du maître, mais du discours capitaliste, qui en est le substitut, est ouverte.
C’est pas du tout que je vous dise que le discourse capitaliste ce soit moche, c’est au contraire quelque chose de follement astucieux, hein? […] c’est après tout ce qu’on a fait de plus astucieux comme discours. Ça n’en est pas moins voué à la crevaison. C’est que c’est intenable. C’est intenable…».
Un solo passaggio di un discorso così attuale, antesignano come è Lacan con la sua vita e il solco che segna nella Cultura, la vita ed il pensiero degli uomini e delle donne.
Quando alla fine degli anni ’70 trovai sui banchi di una piccola e polverosa libreria di periferia il libro LACAN IN ITALIA 1953-1978 EN ITALIE LACAN lo acquistai immediatamente.
Io, piccola Arianna borghigiana, con la mia lalingua italiana, ero stata presa da una sua lettura fatta per gli studi universitari: La cosa freudiana; era il maggio del 1972, il giorno non lo ricordo, ma è ancora vivo in me il gesto che feci quella notte, nella stanza buia con un cono di luce, solo a rischiarare il posto del libro sulla scrivania: mi alzai di scatto, prendendo smodatamente quel piccolo libro e lo scaraventai contro la parete buia, imprecando. Come l’Arianna di Microscopia, (testo scritto da Jacques Alain Miller nell’agosto dell’87, destinato ad una pubblicazione americana) ero rimasta, presa, ancor più folle di rabbia. Ma cosa voleva costui??!! Eppure la mia divisione mi faceva andare avanti, molto sintomaticamente lenta. Non mi lasciò più Lacan! Venne il tempo dell’eclettismo, della modesta presa sui saperi universitari.
Erano anni in cui l’economia andava, incominciava a mostrare a noi sessantottini l’inerzia della nostra illusoria rivoluzione. Molto rapidamente gli eskimo e i jeans che avevamo indossato come nostra divisa finirono nelle boutique: ecco l’astuzia!
Nel contempo si erano avviati con la strage di Piazza Fontana ed il culmine dell’assassinio di Moro gli anni di piombo.
Ed io, dopo un’esperienza da Maud Mannoni, iniziai a lavorare in una piccola comunità terapeutica per bambini autistici. Già, l’autismo mi interrogava. Di chi? Era ancora da analizzare…
Per fortuna, proprio per fortuna e penso che ciò abbia la portata di scelte, atti della comunità analitica del Campo freudiano, di un’etica, insomma, incontrai lungo il mio cammino gli analisti della Scuola di Lacan al lavoro e lì, con l’amore di transfert che mi divampò, ora posso sorridere della rabbia che allora mi prese. E’ un cinismo ora, allora era la furiosa cecità della mia superba ignoranza. Un cinismo che mi fa ascoltare l’insidia di uno stupido e sordo cinismo che si sta pesantemente instaurando.
Ritorno a Lacan, quel 12 maggio
«A la vérité je crois qu’on ne parlera pas du psychanalyste dans la descendance, si je puis dire, de mon discours…mon discours analytique. Quelque chose d’autre apparaîtra qui, bien sûr, doit maintenir la position du semblant […] ça sera le discours PST. Ajoutez un E, ça fait PESTE».
E la mobilitazione per la liberazione di una donna imprigionata – FREE RAFAH – ingaggiata da Jacques Alain Miller, sarà un atto materiale e reale…con l’eskimo ed i jeans abbandonati, afflosciati a terra.
Un atto per la parola, per l’urlo, il silenzio singolari, magari imprigionati in una faccetta, in segni, stupidi giochi di tasti battuti rapidamente…
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Da consumatori a consumati
Gabriele Pazzaglia
"I proprietari di capitale stimoleranno la classe operaia a comprare più e più merci costose, case e tecnologie, spingendoli a prendere più e più credito, finché i loro debiti non pagati condurranno alla bancarotta delle banche, le quali dovranno essere nazionalizzate, e lo stato dovrà prendere la strada che alla fine porterà al comunismo" K. Marx, 1867 da "Il Capitale".
Che dire di questa frase di Marx? Qualcuno dice che è attualissima tranne nella sua ultima parte. Visto che il comunismo è già stato e finito come è finito. Altri dicono che non c’è corrispondenza lineare fra il comunismo realizzato nella Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e quello di cui parlava Marx.
Riportano alcuni fatti a sostegno di questa tesi. Il primo è che Marx pensava che il comunismo sarebbe sorto in Germania e in Inghilterra, i paesi più avanzati industrialmente del periodo, e non certo all’interno di una economia agricola per più arretrata come quella russa. In effetti l’industrializzazione nell’URSS è stata “forzata” – a suon di deportazioni – dopo
Un altro dato che è emerso, dopo la caduta del regime, è una lettera di Lenin che metteva fortemente in guardia il Partito dal dare una predominanza a Stalin definito come “personalità perversa e di natura violenta”.
Un altro particolare interessante è che lo stato zarista era fortemente burocratizzato e centralizzato. Si conta che la burocrazia fosse pari al 25% della popolazione. Fonti storiche emerse sempre dopo la caduta del regime comunista dicono che furono quasi tutti cooptati nella classe burocratica del nuovo regime. Così costoro sostengono che il comunismo di Marx non è mai avvenuto e che deve ancora venire.
Personalmente spero che non abbia alcuna somiglianza con quello comunque venuto ad essere con tale nome. Eppure la frase di Marx è ineccepibile e attuale senza bisogno di ricorrere a tante speculazioni successive sul post-capitalismo, sul postmoderno ecc. Dove potrebbe far falla? Forse proprio nel pensare che il capitalismo abbia bisogno della società occidentale, della sua cultura, della sua storia, del suo modo di fare legame sociale. E in effetti pare che ne possa fare proprio a meno. Un tempo fu il Giappone a metterci in allarme. Ora tocca a … Cina, India, Brasile. È interessante che questi paesi siano profondamente estranei alle religioni monoteistiche. Il Brasile ha una parvenza monoteistica ma è fondamentalmente ancora animista. Sono quindi estranei alla logica dell’Uno e del principio di non contraddizione cha caratterizza il pensiero occidentale.
In questo senso una frase del Seminario XX mi ha colpito “dal fatto che si possa scrivere non-ogni x si inscrive in fx si deduce per via d’implicazione che c’è una x che si pone in contraddizione. Ciò è vero a una sola condizione, e cioè che nell’ogni o non-ogni in questione si tratti del finito. […] Questo non-ogni diventa l’equivalente di quel che, nella logica aristotelica, si enuncia nel particolare. C’è l’eccezione. Ma noi possiamo anche avere a che fare al contrario con l’infinito. In tal caso non è più sul versante dell’estensione che dobbiamo considerare il non-tutta. Quando dico che la donna è non-tutta […] è precisamente perché metto in discussione un godimento che, a confronto di tutto ciò che si serve nella funzione fx, è dell’ordine dell’infinito”. (J. Lacan, Il Seminario. Libro XX. Ancora, 1972-1973, testo stabilito da J.-A. Miller, ed. it. a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2011, pg. 97).
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