10 de outubro de 2011

SLP-Corriere: Dibattito Forum


Forum SLP

Miller sottolinea che la pratica della libertà di parola, tipica della psicoanalisi, mette oggi in questione i regimi e deve venire tutelata dal mondo occidentale se davvero si vuole attribuire la qualifica di «libero» da:

“AVVENIRE” di giovedì 15 settembre 2011


di Omar Battisti

Ho scelto come esergo questo frase dell’articolo di Fabrizio Mastrofini Nuove retate di Assad «Liberi la psicanalista», Rafah Nached, per evidenziare, ricorrendo ad una situazione estrema, che nella vita civile in genere viene tendenzialmente cancellato lo spazio riservato a tutto ciò che non è conforme al discorso dominante. O si è favore o si è contro. Tale discorso non contempla la possibilità di qualcosa di alternativo a se stesso. La logica del o a favore o contro, del dentro o fuori, pretende di essere l’unica ammissibile. Ma anche nel campo della vita civile è possibile trovare delle voci che cercano di dare spazio ad un’altra logica e che dunque si possono considerare a sostegno di quella pratica della libertà di parola di cui parla Miller.

Ecco perché ho interrogato questo libro di Barbara Spinelli: Una Parola ha detto. Dio. Due ne ho udite. Lo splendore della verità. Alla luce di questo testo, vorrei considerare la questione dell’integrazione, che in Italia è un riferimento obbligato nel campo della salute mentale e dei servizi sociali. Riporto questo passaggio: “Il principio che dovrebbe servire a orientarsi diventa valore cui urge conformarsi” (p. 20). Se l’integrazione diventa un valore a cui conformarsi al di sopra di ogni cosa, può accadere che questo valore “può tramutarsi in despota – in collettivo che sottomette o azzittisce il singolo individuo” (p. 15). Questa è una possibilità sempre all’opera a cui fare attenzione perché è molto facile passare dal servirsi di una serie di principi per orientare la propria pratica ad uno standard a cui riferirsi per essere conforme ad un ideale. Non si tratta, quindi, di sostituire l’ideale dell’integrazione con quello della psicoanalisi, ma di inventare un modo di dare luogo alla pratica della libertà di parola.

Forse questa necessità di andare oltre la logica del discorso dominante si può ritrovare nel titolo del secondo capitolo del libro della Spinelli: “Uscire dalla teodicea contro i valori supremi” e ancora quando considera la necessità di: “dare un luogo alle differenze. Abitare la soglia” (p. 29). L'autrice precisa che abitare questa soglia comporta che “Non si parte come un blocco compatto per poi sgretolarsi” (p. 35), in quanto “la divisione in due […] è fondatrice di quel che più qualifica l’uomo: la sua difficile libertà” (ib) e aggiunge che abitare la soglia è una scelta che si basa non tanto su di una “logica del potere [ma] «per nulla»” (p.37). Cioè non c’è nessun valore che può essere messo come fondamento del conflitto tra valori, si tratta invece di una scelta che parte dal dover fare i conti con quel nulla. In altri termini si potrebbe tradurre ciò con l'affermazione di Lacan: “il desiderio è la metonimia della mancanza ad essere”[1]?

Nel proseguo del libro l’autrice fa una distinzione tra principi e valori: “I valori, essendo piuttosto l’obiettivo finale che si cerca […] corrono il pericolo di restare appesi nel vuoto se non si accordano con i principi che l’uomo da a se stesso all’inizio di tale cammino” (p. 55). Questa distinzione tra valori e principi mi pare coerente con la differenza che Lacan mette in risalto nel Seminario VII L’etica della psicoanalisi, dove proprio nella prima lezione precisa che la questione dell’etica, “nella misura in cui la posizione di Freud ci fa progredire rispetto ad essa, va articolata orientando i punti di riferimento dell’uomo rispetto al reale” (p. 16) e non rispetto ad un Ideale. Concludo con un passaggio del libro della Spinelli in cui afferma che “ogni personalità ha le sue irriducibili caratteristiche, i suoi intimi preziosi valori da custodire, sicchè la massima [kantiana] dovrebbe suonare: agisci come vorresti che tutti si comportassero in simili situazioni e tuttavia preserva quel che ti è caratteristico e che può e deve restare tale, anche se tutti agiscono nel modo universalmente giusto” (p.69), per porre la questione: quale rapporto tra desiderio inconscio e istituzione democratica?



[1] Jacques Lacan, “La direzione della cura e i principi del suo potere”, in Scritti Vol. II, Einuadi, Torino 1974, p. 618.

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