La pratica clinica con i quadri di anoressia puberale interroga, a partire dalla particolarità che presenta soprattutto nei primi incontri. Generalmente sono soggetti “portati” dalle madri e dai padri e “parlati” dai genitori, laddove è frequente che al corpo denutrito e rigidamente scheletrico si accompagni nelle ragazzine un mutismo, un rifiuto di dire. “Né mangia né parla” è la frase che si ripete nei lamenti materni. Lo sguardo fisso al tappeto, il mutismo che spiccava nel circuito di parole della madre mi convinse, nell’incontro con una piccola anoressica di 11 anni, della necessità di introdurre una logica interpretativa ribaltata.
Dall’essere portata e parlata dall’altro al possibile senso che l’organizzazione soggettiva muta e olofrastica della bambina comunque veicolava. Il corpo rigido, lo sguardo basso e il silenzio facevano pensare ad un “tappo di senso”. Accogliere il silenzio e ascoltare l’ingombro evidente di un corpo irrigidito, costituirono per me la chance di incontrare, viceversa, un “corpo parlante” e non un “corpo parlato”. Rimasta sola la ragazzina prolungò il silenzio finché, alzandomi e accarezzandola, le dissi che per me andava bene così. Lo sguardo, rimasto fino allora fisso sul tappeto, cercò il mio, ci guardammo in silenzio. La rividi per un anno e mezzo, tutte le settimane.
Ho cioè voluto interpretare la scelta particolare di questa piccola paziente, di essere portata e parlata dalla madre, ribaltandola alla luce delle interessanti riflessioni dell’antropologia zuttiana, considerando tale scelta come una perturbazione dell’ ”essere-portati-portando” (des tragenden Getragenseins)[1].
Nell’antropologia zuttiana l’ "essere in cammino nella vita" coincide con l’essere nel mondo nella propria corporeità ( Leiblichkeit ) e, più precisamente, con un particolare modo di essere del corpo che Zutt definisce il “divenire involontario del corpo” (unwillkürliches Werden) , cioè avere fame, avere sete, la pulsione sessuale. In tale nostro “essere corpo involontario” noi siamo portati nel fluire temporale, nel flusso vitale, nel senso che il nostro Leib (corpo vissuto) è cioè "corpo portante" (tragende Leib) nel nostro divenire involontario a partire dalla sfera istintiva e dagli stati affettivi. Tuttavia l’espressione “siamo portati” non deve far pensare ad un processo in terza persona, dato che siamo noi stessi questo “portare” nel nostro divenire corporeo. Ciò significa che nei modi involontari dell’essere corpo ci scopriamo questo “essere-portati-portando”, rinveniamo cioè questa dimensione costitutiva.
Tale paradossale intreccio tra volontarietà ed involontarietà dell’esserci con la sua corporeità nel divenire esistenziale, è stata la prospettiva con cui ho letto la sofferenza della piccola paziente citata e il suo silenzio. Lo stenico rifiuto di quest’ultima ad accettare le naturali ed inevitabili trasformazioni puberali mostrava una sofferenza troppa a dirsi e rivelava una profonda impasse esistenziale. Il nucleo discorsivo congelato nel corpo e nella postura, parlava della sua lotta rigida contro ogni espressione dell' "essere-presa", dominata da qualcosa che sfuggiva al suo controllo. I soggetti in anoressia puberale mostrano sovente di avere erroneamente interpretato il significato ontologico dell’ "essere-portati-portando", eludendo la struttura portante implicita, nell’assolutizzazione e quindi nel rifiuto della dimensione costituiva dell’esserci, del “venir portati”, relativa alle modificazioni e trasformazioni puberali. Merleau-Ponty ha evidenziato che il Leib proprio in quanto ci “apre” al mondo, può chiudersi al mondo e agli altri, e in questo rifiuto la sfera della corporeità dà forma silenziosa, non più dialogica, al soggetto. [2]
Quando le trasformazioni puberali anticipano il tempo di maturazione psichica del giovane, possono produrre un arresto del movimento esistenziale che congela soggetti molto giovani, non ancora all’altezza del compito evolutivo cui il reale del corpo che cambia li convoca. Tale impasse lascia in sospeso il loro destino evolutivo, come capita nelle anoressie puberali.
Dominare la fame e congelare il destino biologico del corpo, possono offrire l’occasione per ripristinare il proprio dominio sull’imprevedibilità puberale e scacciare il mistero angosciante che suscita il reale delle trasformazioni corporee. Tali soluzioni esprimono sovente lo “scarto” che la giovane prova dentro di sé tra le maturazioni fisiche, le aspettative del sociale e le proprie risorse psichiche. Tale “forbice” che si divarica troppo rispetto alle possibilità del soggetto di farvi fronte, può trovare nel sintomo alimentare una soluzione che “accorcia” tale divario vissuto come eccessivo.
L’incontro puberale con le trasformazioni corporee inaugura dunque modificazioni del fluire esistenziale e innanzitutto comporta un attacco alla costituzione narcisistica dell’immagine corporea infantile. Lo statuto immaginario del corpo descritto da Lacan nella teoria dello stadio dello specchio ci spinge a ricordarci, come riprende anche Domenico Cosenza nel suo intervento: "che l'effetto di unificazione gestaltica dell'immagine del corpo, quando si produce, non cancella tuttavia la 'discordia primordiale' che abita l'intimità del corpo stesso, e che si sottrae al campo della rappresentazione”.
Lacan evidenzia che un bambino può fare del suo sintomo somatico un evento di corpo, quindi un sintomo del corpo parlante. Il corpo rigido e il silenzio di queste piccole anoressiche non è l’incontro di un corpo al di là della parola ma in attesa di qualcuno che possa ricevere, accogliere la parola senza indirizzo, quindi muta, dandole senso, come riverbero della loro impasse esistenziale.
Allora, sintomo come inscrizione nel corpo o come evento di corpo ? E’ nel seminario “Les non- dupes errent”[3] che Lacan evidenzia che c’è evento solo per un dire. Dunque evento come segno di un reale. Il corpo parlante permette oggi di orientarci nella clinica quotidiana. Fenomeni ed eventi di corpo impegnano lo psicoanalista nel poter rivelare la soluzione peculiare di un soggetto rispetto all’enigma del corpo e al suo saperci fare con il godimento.
Notes:
[2] M.Merleau Ponty , Fenomenologia della percezione , trad. it .,Il Saggiatore, 1980
[3] J.Lacan , Les non dupes errent , lezione dicembre 1973-1974, inedito
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