20 de setembro de 2011

SLP-Corriere: LQ N. 03 ( italiano)

N° 03

« Il rientro sarà lacaniano » — Le Monde des Livres, 19 agosto 2011

LACAN QUOTIDIEN

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Lettera di Voltaire a Jacques-Alain Miller

Una farfalla che parla ? Non esiste !

Il Paludes Breeze non risponde!

MERCOLEDI’ 24 AGOSTO 2011

h 10.47 [GMT+1]

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Caro Jacques-Alain,

il Vostro articolo in “Lacan Quotidien” n° Zero, sul protocollo PROSEMA’ è, al di là della sua prima apparenza, non classificabile: tanta erudizione e umorismo in così pochi centimetri quadrati… è raro. Non vedo l’ora del seguito! A me, l’articolo di Schneider ha ispirato più pensieri.... che non hanno subito trasformazioni! Alla fine, me ne faccio carico. Ecco dunque quello che avrei risposto. A voi. Kristell

Le farfalle di Lacan

di Kristell Jeannot

“Una porcheria”. È la prima parola che mi è venuta alla lettura di questo articolo. Scusatemi. “Una porcheria mal scritta, che non assomiglia a niente”.

Uno dei miei interlocutori, lui, mi aveva proposto il termine di “sputo”. In effetti questa parola permette di dire al tempo stesso l’arcaismo dell’insulto e l’aspetto sconnesso dell’articolo.

Non ho capito come un pezzo così mal assemblato sia stato pubblicato in una rivista così rispettabile. Non c’è bisogno di essere un gran sacerdote, né un tecnocrate[1] , per rendersi conto che il suo autore ignora l’essenziale del pensiero di Lacan. “Lacan era il più provocatore degli psicoanalisti”, dice la pungente introduzione. Sovversivo sarebbe stato meglio. “Sovversivo, che, scagliandosi e soffiando come vento di tramontana sulla scogliera, sconvolge (Leiris)”. Schneider non ha capito che è la psicoanalisi stessa ad essere sovversiva. Lui crede che Lacan lo provochi. Si difende.

Per rimettere le cose al loro posto, diciamo che Lacan, è un uomo che ha avuto il coraggio di mostrarsi all’altezza in un campo di pensiero che disturba tutto il nostro non ne voglio sapere niente, che smaschera le nostre vigliaccherie nel posto del desiderio, che ci sfida a fare emergere le basi delle nostre scelte di vita.

Nonostante sia così debole sul piano intellettuale, questo articolo ha avuto il merito di riportarmi alla mia scoperta di Lacan. I testi di Lacan, aprono su una visione del mondo inedita, lontana dagli a priori della psicologia e del discorso corrente, all’etica che richiede la psicoanalisi, così come alla ricerca del ben-dire nel corso di un’analisi, all’ascolto dei nostri pazienti, e al lavoro con loro che noi presentiamo.

Ah questo! per leggere Lacan, non bisogna mettersi in posizione di padrone. Altrimenti ci si angoscia rapidamente. Al contrario bisogna avere il gusto di riflettere, direi anche il senso dell’avventura e dell’esplorazione, e acquisire una certa erudizione. Lacan disponeva, per alimentare la sua riflessione, di un numero impressionante di riferimenti reperiti nel campo della psichiatria, certamente, ma anche in quello della matematica, della filosofia, della letteratura, ecc., che poche persone possedevano. Quando sono senza combattività per voler comprendere queste persone prelevano da Lacan dei pezzi di frasi, e fanno i pappagalli: le ripetono con una condiscendenza finta, che maschera di fatto l’amarezza del loro scacco a penetrarne la significazione.

Sì, Lacan amava la lingua. Aveva il senso della formula. Ma non si comprende niente di ciò che ha scritto, o detto, se non lo si riprende più volte, se non si fa più volte il giro dei suoi articoli, delle sue conferenze, delle sue opere. I testi di Lacan, io li avvicino come scritti in una lingua straniera. Accetto di non capire tutto subito, mi aggancio ad un concetto, guardo come si articola con altri, come vive – nel momento di un seminario, ma anche nel corso dello svolgimento del suo pensiero.

Il problema di uno Schneider, è che mummifica, mortifica il pensiero di Lacan, appuntando certe sue frasi come delle farfalle. Jacques-Alain Miller, al contrario, lo fa vivere, questo pensiero, rispettando le parole-farfalle di Lacan.

Partecipo da due anni al suo seminario DIVA, che fa per i giovani, e che è iniziato con lui. Siamo una trentina, per la maggior parte di venti e trent’anni; ci si incontra una volta al mese, non di più, per un pomeriggio. Vedo bene, adesso, come va. Per tessere la metafora, queste farfalle, cerca di acchiapparle nella loro rete, ma è per mostrarne a noi i colori e le caratteristiche. Poi, le lascia andare. Non è il padrone, né il domatore, né il collezionista, ancora meno l’assassino: è colui che mette in mostra[2] le farfalle in libertà.

Nella solitudine studiosa, proviamo a nostra volta a incontrare negli scritti, e nei seminari, di Lacan, delle farfalle non ancora viste, e che ci parlino.

Voltaire

Lettera a Jacques Alain Miller

*

Signore,

diviene urgente per me questo biglietto per farvi un piccolo rimprovero: prima di non avermi messo nel vostro aeropago(*) ben poco greco è vero, tra quelli che voi chiamate per la vostra impresa, e in seguito quello di lasciarvi condurre dalle sventurate sirene. Non sono ben certo delle garanzie di serietà dei vostri collaboratori. Io non conosco questi signori Khanulard e Hanlapip né il signor Kadératé ma non prevedo niente di buono della vostra prossima collaborazione con loro. Mi sembrano avere anche dei titoli altisonanti per essere nati bene. C’è anche, quasi non lo ammetto, che mi sento dispiaciuto che voi mi abbiate omesso tra i riferimenti che voi citate per la vostra opera. Vi considero infatti con amicizia da molto tempo, può essere stato da quando voi avete detto delle cose così eleganti. (È stato, mi ricordo, il 17 giugno 1998) sulla mia “Piccola digressione”. Son stato contento che abbiate gradito -“Degli scritti in francese non c’è niente che preferisco a questa piccola storia”, lasciatevelo dire - Che omaggio!

Ci penso spesso, e sono contento di non aver perso il mio tempo nel scrivere questo piccolo testo, che è stato per altro solo uno scherzo per infastidire un po’ il nostro buon Diderot, con cui come ho detto al mio amico Palisot mi dispiace vivamente di non essermi mai intrattenuto se non con le lettere. Ma la sua Lettres sur les aveugles aveva disturbato il mio gusto. Se posso citarmi senza troppa sfacciataggine, ecco ciò che gli avevo scritto:

Vi ringrazio, Signore, del libro ingegnoso e profondo che voi avete avuto la bontà di inviarmi; vi presenterò uno che non è ne l’uno ne l’altro, ma nel quale voi vedrete l’avventura del cieco- non più dettagliata in questa nuova edizione che nelle precedenti. Sono interamente del vostro parere su quello che voi dite dei giudizi che formeranno, in questo caso, gli uomini ordinari non avrebbero che del buon senso, come i filosofi. Sono spiacente che, negli esempi che voi citate, avete dimenticato il cieco- bambino che, nel ricevere il dono della vista, vedeva gli uomini come degli alberi. Ho letto con estremo piacere il vostro libro che dice molto e che fa saperne di più. È da tempo che vi stimo quanto disprezzo i barbari stupidi che condannano quello che non capiscono, e i cattivi che si uniscono agli imbecilli per proscrivere ciò che li illumina.

Oggi, è a voi che scrivo, mio caro amico e vi dico che non è bene che un ragazzo come voi, dotato di una tale grandezza di veduta e di così buon giudizio, si lasci abbagliare dalle false scienze e dai falsi sapienti. Poiché ciò che tutti quelli che voi chiamate in vostro soccorso sembrano- sebbene li conosco solo per sentito dire - molto divertenti e altolocati, ma perché li coinvolgete in questa improbabile avventura di questo protocollo PROSEMA di cui non comprendo il punto? Così, è che io conosco un po’ il dottor Fraustoll che considero un mio amico e lo incrocio spesso tornando a casa, là dove abito ora, alla fine di via Soufflot, quando risalgo per via Monsieur La Prince vicino Procope, dove prendo il caffè e di passaggio compro la mia crema da Polidor. Bene, il buon uomo mi sembra molto amabile, ma senza dubbio, permettetemi di dirvi senza indisporvi, è un folle, è uno strambo. Con la sua scimmia sulla spalla è del tutto inaudito quanto è elegante. E ha questi amici! Questo signor Kelvin per esempio di una noia mortale e capisco poco i suoi principi termodinamici:“Se un ciclo monotermico non può essere un motore”. La bella faccenda, gli impedisce di essere ciò che è, di vivere in modo intelligente con i suoi, senza essere affetti dal turbine del mondo?

E poi, amo molto la lingua di Albione, come voi sapete, ma perché infarcire tutte le vostre proposte di questi inglesismi con mille riferimenti che nessuno ha letto? La nostra buona Enciclopedia non sarà mica la Britannica? E ai Philosophical investigations, io preferisco tutto sommato l’empirismo di Berkeley. Senza dubbio voi conoscete i miei Èlements de la philosophie de Newton, dove sostengo che l’anima sente e che, per esempio tutte le imperfezioni dell’occhio sano o malato, provano che la geometria naturale di questo organo non è sufficiente per spiegare i fenomeni della visione.

Diderot ritiene cha la famosa immagine cartesiana del cieco che tiene i bastoni incrociati si presta ad un’interpretazione materialista, perché permette di dire che ciò che è a sinistra è immediatamente sentito e giudicato a destra dal tatto, e al contrario, ciò che è sentito a destra è giudicato a sinistra. E proseguendo l’analogia, potremo affermare che le parti inferiori e superiori dell’occhio riportano “di colpo” le loro sensazioni rispettive al loro vero e proprio punto d’origine e che l’occhio sarà dunque capace di correggere da solo le sue immagini retiniche? È evidentemente impossibile che l’occhio giudichi da solo e correttamente, perché bisognerebbe, a tal fine avere sia coscienza che conoscenza della geometria che viene eseguita in esso. L’occhio non può giudicare d ciò che ha inteso; e non riceve che colori: c’è una eterogeneità radicale delle differenti serie sensoriali, il tocco è il solo senso dell’intesa.

Allora questa impresa che voi annunciate sarà un arnese che permette un uso automatico delle spiegazioni del testo - che voi chiamate in uno spaventoso guazzabuglio “analisi delle torsioni testuali tendenziose”- mi appare come un controsenso rispetto a ciò che credo che voi amiate. Ne a Beyle, ne a Baudlaire ne a me ritorna! Voi sapete bene che per noi un testo non è da spiegare, ma da lasciar supporre.

E questo Michel Schneider che vi occupa e i suoi sogni su Marylin Monroe, sarà dimenticato tra vent’anni, al contrario io parlo di voi.

Allora, vedo bene ciò che la mia parola ha di sciatto, poiché da un lato io mi lamento del progetto che voi fate, e dall’altro mi lamento di non essere tra quelli a cui vi appellate, ma che importa io sono con voi per sempre, e vi rivolgo la mia amicizia.

*

Ma quale prova? È un libello? Mio Dio come sono ridicolo ad avervi cosi poco interpretato. Invecchio bene, sono cieco oppure è del mondo attuale che ho paura. Non importa. Faccio i miei omaggi a voi

pcc: Pierre Stréliski


Traduzione: Silvia Morrone, Monica Vacca

Revisone: Alide Tassinari


[1] nel testo originale énarque: è un ex-allievo della École Nationale d’Administration, Scuola Superiore per la formazione dei quadri dell’amministrazione statale francese, sinonimo di tecnocrate

[2] letteralmente mostratore (colui che mostra).

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